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Channel: Spagna – GQ Italia

Dal referendum in Catalogna a quello in Lombardia e Veneto

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Crisi istituzionale e caos politico dopo il referendum. Il premier Mariano Rajoy ribadisce l’illegalità della consultazione che le forze dell’ordine hanno tentato di impedire in una domenica infuocata da diversi incidenti alle urne ugualmente allestite in Catalogna malgrado l’inammissibilità decretata dalla Corte costituzionale. Crollano all’apertura dei mercati la borsa iberica e l’euro, mentre si profila all’orizzonte un nuovo plebiscito nell’eurozona, quello del 22 ottobre in Lombardia e Veneto nel quale è “autonomia” l’oggetto. “Nessun confronto è possibile con il referendum che si svolgerà in Lombardia e Veneto il 22 ottobre. La nostra scelta non è contro l’unità nazionale ma rivendica autonomia, maggiori competenze e una distribuzione equa delle risorse, in piena sintonia con la Carta Costituzionale del nostro Paese”, così il governatore del Veneto, Luca Zaia, mentre la giornata di ieri – con seggi presidiati dai cittadini, manganellate della polizia per sgombrare i seggi dichiarati illeciti dalla Corte e centinaia di contusi davano l’immagine del solco che si è venuto scavando.

Rajoy ha definito una “messinscena” il referendum e convocato i partiti. Spinge invece sull’acceleratore dello strappo il leader catalano Charles Puigdemont che in un intervento alla televisione ha detto a caldo che “nei prossimi giorni il mio governo invierà i risultati del voto di oggi al Parlamento catalano, dove risiede la sovranità della nostra gente, in modo che possa agire secondo quanto previsto della legge sul referendum”. I risultati, secondo il portavoce del governo regionale Jordi Turull, hanno visto 2,26 milioni di persone alle urne su 5,3 milioni di aventi diritto con 2,02 milioni – il 90% dei votanti – che ha risposto Sì alla domanda: “Vuoi che la Catalogna diventi uno Stato indipendente sotto forma di repubblica?”

Oltre a Rajoy che preme sul tasto dell’illegalità della procedura adottata dai nazionalisti catalani, non poche le voci nel resto della Spagna – e trasversali ai partiti – fortemente critiche riguardo alla piega indipendentista. Pochi giorni fa, Julio Anguita, figura storica della sinistra, spiegando come si è arrivati sul punto di “due treni in rotta di collisione che, se si scontreranno, faranno male a parecchia gente” sottolineava che mancano discorsi “di classe” e che è stata la “borghesia catalana” a suo tempo assecondata dai centristi dei passati governi a sollecitare il processo estremo fino al referendum quando sarebbe stata opportuna una “costituente di un nuovo Stato spagnolo”.

Stefano Fassina (Sinistra italiana) su Facebook: “Una giornata triste per un grande Paese democratico come la Spagna e per tutti noi. La polizia che blocca con la violenza cittadini al voto è insopportabile. Il golpe istituzionale portato avanti da Puigdemont doveva essere affrontato senza arrivare a bloccare i seggi. Il primo ministro Rajoy con la repressione catalana cerca una popolarità mai avuta. In tale contesto, colpisce il silenzio totale di Bruxelles e delle capitali della UE. Non siamo di fronte a un ordinario problema interno di uno Stato. Siamo di fronte a un tentativo secessionista che poteva efficacemente essere contrastato con dichiarazioni inequivocabili di non riconoscimento dello Stato di Catalogna. È un quadro preoccupante rispetto al quale anche il governo italiano tace”.

Singolare che a Barcellona si invochi viceversa la Ue non per condannare – i trattati rispettando l’integrità degli Stati membri come la Spagna – ma schierarsi con la “democrazia” catalana, il che prefigurerebbe altri strappi. Il referendum catalano ha comunque portato sulla cresta dell’onda la consultazione in Lombardia e Veneto. “Noi abbiamo scelto la via pacifica”, ha sottolineato Salvini che ha distribuito a Milano volantini per il Si. Il Pd – e anche Mdp – sostiene “l’inutilità” della consultazione visto che la Carta prevede già, con l’art. 116, la possibilità di una trattativa Regione-Stato, via che sta praticando l’Emilia Romagna. Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia): “La Patria è l’ultimo argine alla deriva mondialista, non mi appassiono alle spinte indipendentiste che vorrebbero dividere o indebolire gli Stati nazionali in Europa”. Benché la Catalogna rispetto a Madrid abbia una storia forse analoga in Europa solo a quella della Scozia con Londra, crescono i micronazionalismi ovunque in Europa ai quali il plebiscito catalano può dare nuovo fiato. “No alle piccole patrie”, dice Fratoianni di Sinistra italiana, mentre il M5S attacca Rajoy per la durezza degli agenti sui pacifici elettori catalani, ma non si schiera sul 22 ottobre. Maroni dal canto suo ha anticipato di voler arrivare anche a una modifica della Costituzione italiana per la devoluzione di nuove competenze dallo Stato.


Il Barcellona è in crisi d’identità, Piqué no

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Mentre il popolo catalano combatte con tenacia la sua battaglia per l’indipendenza da Madrid, l’esercito disarmato della Catalogna descritto da Manuel Vázquez Montalbán vacilla, rischiando di perdere consensi e di vedere la sua immagine minata.

A Barcellona il calcio e la politica non sono mai stati separati. Lo testimonia lo stesso motto che campeggia sui colletti delle maglie da gioco blaugrana, quel Més que un club coniato dal presidente Narcis Carreras nel 1968, in piena epoca franchista. Il Barça non è solo una squadra di calcio, è qualcosa di più: è un simbolo identitario di resistenza, lo è stato durante la repressione del catalanismo all’epoca del Caudillo, lo è ora che lo strappo con Madrid appare insanabile. Ecco perché gli indipendentisti (che sugli spalti del Camp Nou e tra i tifosi del club sparsi in tutto il mondo sono una cospicua maggioranza) non hanno accolto bene la decisione del club di scendere in campo – seppur a porte chiuse – contro il Las Palmas, nella stessa domenica di un referendum segnato dagli scontri con gli agenti inviati da Madrid nel tentativo di impedire le operazioni di voto.

Il Barcellonismo chiedeva che non si giocasse, il club ci ha provato, ma ha poi fatto un passo indietro davanti al rifiuto della Liga e della Federazione di rinviare il match e alla prospettiva di una sconfitta a tavolino a cui sommare 3 punti di penalizzazione. “Abbiamo scelto di giocare a porte chiuse per mostrare a tutto il mondo quello che stava succedendo”, ha spiegato il presidente Josep Maria Bartomeu, ma le sue parole non hanno convinto.

Di certo c’è che la decisione è stata presa su spinta di un nutrito gruppo di giocatori, la maggioranza dello spogliatoio, guidata da Lionel Messi, segno evidente di un Barcellona che negli ultimi anni ha perso pezzi di un’identità catalana che aveva toccato il suo apice con Joan Laporta presidente, Pep Guardiola allenatore Carles Puyol e Xavi consapevoli titolari di quella fascia da capitano coi colori della senyera.

È vero, il club continua ad appoggiare ufficialmente le istanze per il “dret a decidir”, il diritto di decidere invocato da quei catalani (oltre l’80% secondo i sondaggi) che – indipendentisti o meno – si sono espressi a favore della convocazione di un referendum, ma spesso lo fa con un imbarazzante ritardo. Così anche la decisione di aderire allo sciopero generale proclamato in tutta la Catalogna per il 3 ottobre non sembra abbastanza per ricucire lo strappo e rimediare al “tradimento” di domenica. Nessuno andrà ad allenarsi, i campi di San Joan Despí resteranno vuoti, ma l’iniziativa appare depotenziata dalla concomitanza con la sosta per le nazionali che vede molti giocatori della prima squadra già lontani dalla capitale catalana.
Tra questi c’è anche Gerard Piqué, accolto tra fischi e cori d’insulti nel ritiro della Roja, al centro sportivo Las Rozas di Madrid.

Lui sì, avrebbe voluto non scendere in campo domenica contro il Las Palmas, e a fine partita, nonostante il 3-0 finale, ha parlato in lacrime davanti ai microfoni dei giornalisti.
“Sono e mi sento catalano, e oggi più che mai mi sento orgoglioso della gente catalana perché credo che si sia comportata meravigliosamente dopo che negli ultimi sette anni non c’è stato nessun atto di violenza e oggi è dovuta venire la polizia nazionale e la Guardia Civil (un corpo di polizia militare dello Stato spagnolo, ndr) per agire nel modo in cui hanno agito”.

Lacrime che hanno seguito e preceduto durissimi attacchi al governo di Mariano Rajoy, con riferimenti espliciti al franchismo, e che non possono non segnare ulteriormente un rapporto già complicato con la nazionale: “Credo di poter continuare a giocarci perché penso che in tutta la Spagna ci siano persone in disaccordo con quanto successo oggi, ma se per loro sono un problema sono pronto a lasciare la nazionale prima di Russia 2018”.

Piqué, che su Twitter ha postato anche un video in cui le immagini degli scontri di domenica fanno da contrasto alle parole della ministra per le Amministrazioni Territoriali Soraya Sáenz de Santamaría, sarà impegnato venerdì ad Alicante nella sfida per la qualificazione ai Mondiali contro l’Albania. Con ogni probabilità scenderà in campo, certamente incontrerà un ambiente ancora più ostile del solito. La Spagna è divisa, lo strappo sembra insanabile, e anche se il Barcellona sembra sempre meno esercito e sempre più disarmato, almeno uno dei suoi soldati pare non avere alcuna intenzione di cedere un solo millimetro.

La Catalogna prepara l’indipendenza. Cosa può accadere

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Le parti non trovano il dialogo. Potrebbe arrivare già lunedì prossimo la proclamazione dell’indipendenza della Catalogna dalla Spagna con voto dell’assemblea parlamentare regionale. L’assemblea procederebbe allo strappo sulla base dell’annuncio dei risultati del voto referendario che la Corte costituzionale ha decretato illegittimo.

Si profila, quindi, una grave crisi costituzionale tanto che il re Felipe VI ha preso la parola martedì per un messaggio alla nazione nel quale ha accusato la Generalitat – il governo regionale catalano – di aver “infranto sistematicamente le leggi, dimostrando una slealtà inammissibile nei confronti dello Stato, ribaltando l’armonia e la convivenza all’interno della società catalana”. È raro che il monarca si rivolga direttamente agli spagnoli salvo protocolli come il messaggio di Natale. Invece, Felipe VI è apparso in abiti civili davanti alle telecamere richiamando la legalità democratica: “Voglio ricordare che è da decenni che viviamo in uno Stato democratico. So che in Catalogna c’è molta preoccupazione per come si sono comportate le autorità catalane e a loro dico che non sono soli. La responsabilità dello Stato è di assicurare l’ordine costituzionale, è un momento difficile, ma ne usciremo”.

Da Barcellona la risposta non si è fatta attendere. Il re doveva “rispettare tutti i catalani”, ha detto il presidente catalano Carles Puigdemont in un incontro stampa lamentando che il sovrano “ha deluso tante persone”. Ad affermare che alla plenaria del parlamento di Barcellona lunedì “si proclamerà l’indipendenza e la repubblica catalana” è la deputata Mireia Boya di Candidatura d’Unitat Popular (Cup), il partito della sinistra indipendentista, seppure riconoscendo che non c’è accordo su questo punto con altre formazioni nazionaliste catalane.

La questione dell’indipendenza è trasversale ai partiti e il rischio di una “collisione tra due treni in corsa” da Madrid e Barcellona “nel quale saranno in molti a farsi male” è stato sottolineato giorni fa da Julio Anguita, figura storica della sinistra spagnola, che avrebbe optato per un “processo costituente di un nuovo Stato spagnolo”.

Sarebbe invece naufragato un tentativo di mediazione intrapreso da Podemos per aprire il dialogo. Per il premier Mariano Rajoy e il governo di Madrid il nodo rimane quello dell’illegalità del processo intrapreso da Puigdemont. Parlamentari nazionalisti catalani si ritengono strettamente vincolati alla legge locale approvata il mese scorso che gli impone di proclamare l’indipendenza entro 48 ore dall’annuncio del risultato del voto. Nel frattempo Josep Lluis Trapero, il capo dei Mossos d’Esquadra, la polizia catalana, è stato convocato in tribunale con l’accusa di sedizione per non essere intervenuto per controllare nei giorni scorsi una manifestazione indipendentista. “Per come si stanno mettendo le cose la questione adesso è repubblica o repubblica” ha detto in tv Jordi Turull, portavoce dell’esecutivo catalano di Carles Puigdemont, dopo l’intervento di re Filippo. Dal canto suo Madrid sottolinea di essere nella piena legalità statutaria e che la risposta è proporzionata alla rottura di essa da parte dell’esecutivo regionale, escludendo qualsiasi mediazione internazionale che si configurerebbe come ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano.

Indipendenza Catalogna, c’è lo zampino della Russia?

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Dopo anni di “indipendentismo” e “processo di indipendenza”, a Madrid sospettano che la Russia abbia messo le settimane scorse il proprio zampino nel soffiare sul fuoco del nazionalismo catalano che, ancora sabato scorso, ha portato in piazza 750mila manifestanti per protestare contro la detenzione dei “prigionieri politici”. Sono otto i ministri in carcere dell’ex-governo di Barcellona, deposto ai sensi dell’art.155 della Costituzione, con i due leader delle organizzazioni civili nazionaliste. Jordi Sánchez e Jordi Cuixart erano stati arrestati in seguito ai disordini in margine al referendum catalano sull’indipendenza dichiarato illegale dalla Corte costituzionale spagnola.

Ora, secondo quanto riporta la Reuters, i ministri della Difesa e degli Esteri del governo Rajoy si dicono in possesso di evidenze che gruppi russi e venezuelani hanno utilizzato piattaforme social come Facebook, Twitter e altre per propagandare la causa dell’indipendenza catalana e muovere l’opinione pubblica in vista del plebiscito del 1 ottobre. I leader indipendentisti negano di aver ottenuto qualsivoglia sostegno esterno. Viceversa la ministra della Difesa, Maria Dolores de Cospedal, ha detto che “molto di tutto questo è venuto dal territorio russo” nel corso della riunione dei ministri Difesa ed Esteri della UE a Bruxelles, dove è riparato e circola liberamente l’ex-presidente della Generalitat catalana, Carles Puigdemont, nei confronti del quale la magistratura iberica ha emesso un euro-ordine di arresto basato sulle accuse di ribellione legate al “processo di indipendenza” che hanno portato in carcere gli esponenti del deposto governo. La ex-presidente del Parlament, Carme Forcadell, è stata rilasciata su cauzione con impegno di non violare la Costituzione: la dichiarazione d’indipendenza espressa dalla maggioranza era “simbolica”, ha detto ai giudici.

Ramon Tremosa, europarlamentare del PDeCat, il partito del leader Puigdemont, ha ribadito che nessuna interferenza russa ha avuto parte nel referendum. Mosca ha negato ripetutamente ogni interferenza e accusa l’Occidente di orchestrare una campagna per discreditare la Russia. Sciogliendo il Parlament “ribelle”, il governo di Madrid ha anche indetto nuove elezioni autonomiche per il 21 dicembre dalle quali uscirà la nuova assemblea regionale. Madrid si aspetta che il passaggio per le urne contribuisca al superamento della più grave crisi istituzionale mai verificatasi nella Spagna dal ritorno alla democrazia. Non è detto però che non siano di nuovo gli indipendentisti a vincerle. I partiti costituzionalisti – il Partido Popular del premier Rajoy, i socialisti del Psoe e i liberali di Ciudadanos – chiamano alle urne la metà dei catalani unionisti che hanno boicottato il referendum dei nazionalisti catalani. Dal carcere è candidato Oriol Junqueras, ex-vicepresidente e leader di Esquerra Republicana che secondo alcuni sondaggi ha il vento in poppa. Ugualmente in forte ascesa Ciudadanos che in Catalagna durante il “processo” ha visto affermarsi la giovane, brillante e combattiva unionista Inés Arrimadas, catalana di origini andaluse come molti in Catalogna. La UE si è distanziata dallo “strappo” di Puigdemont. € forte il timore di un’implosione in caso di contagio ad altri partiti nazionalisti e separatisti in Europa. Il segretario Nato, Jens Stoltenberg, presente al meeting di Bruxelles, non ha rilasciato commenti alle accuse formulate da Madrid.

In Catalogna hanno rivinto gli indipendentisti: maggioranza assoluta. E ora?

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Tutto come prima in Catalogna dopo il voto per il rinnovo del parlamento regionale. Anzi peggio nell’ottica di una ricomposizione del conflitto tra lo Stato centrale e l’autonomia che aveva condotto al dissolvimento dell’assemblea. “Futuro incerto”, titola El Pais un suo editoriale, dopo che dalle urne è uscito un risultato che fotografa la spaccatura tra due Catalogne. Prima forza politica regionale è il partito unionista Ciudadanos che catalizza un pieno di voti in virtù del carisma della giovane brillante e battagliera Inés Arrimadas: «Per la prima volta ha vinto in Catalogna un partito costituzionalista», dice a caldo. La formazione della Arrimadas, il cui leader nazionale è Albert Rivera, ottiene uno storico 25,3% e 37 seggi. Non bastano però ad assumere il governo locale per il quale il fronte indipendentista può contare su una maggioranza di 70 seggi, ottenuti da Junts per Catalunya – partito del deposto Carles Puigdemont – più Esquerra Republicana e gli “antisistema” della Cup. Puigdemont vince da Bruxelles dove è riparato dopo lo scioglimento decretato da Madrid e ratificato in Parlamento in base all’articolo 155 della Costituzione e per il quale l’ex-presidente è indagato per ribellione e sedizione più capi d’imputazione minori.

All’inizio di dicembre Puigdemont aveva aperto la campagna elettorale in teleconferenza mentre il giudice istruttore del Tribunale supremo spagnolo, Pablo Llarena, revocava l’ordine di cattura europeo per l’ex presidente dell’autonomia catalana e altri quattro ex-consellers riparati a Bruxelles; l’intento era di evitare che la giustizia belga potesse decidere per quali reati estradarli in Spagna. Il risultato elettorale – che ha fatto dei nazionalisti catalani di Junts il secondo partito col 21,6% – si frappone all’articolo 155 prefigurando la riaccensione del conflitto istituzionale scaturito dal referendum per l’indipendenza, dichiarato incostituzionale dalla Corte suprema, e dalla dichiarazione di indipendenza dello scorso 27 ottobre da parte della coalizione indipendentista. Puigdemont da Bruxelles: «La repubblica catalana ha battuto la monarchia del 155».

Non un passo indietro, dunque, semmai uno avanti nello “strappo”: si aprono scenari incerti e inquietanti, secondo i notisti iberici, con Puigdemont che potrebbe esser rieletto presidente dal blocco indipendentista e al tempo stesso, rientrando in Spagna, arrestato per il mandato pendente della magistratura. Il risultato del voto è lì, anche se molte voci critiche vedono nello “strappo” la prima “rivolta dei ricchi” contro un Paese europeo democratico. Il partito nazionalista, con 34 seggi, sorpassa Esquerra (32) e può coagulare la maggioranza indipendentista seppure necessitando dei 4 seggi Cup. Ciudadanos dal canto suo è il grosso del 40% di catalani che vogliono rimanere spagnoli. Il voto ha anche valenza nazionale: il Partito popular del premier Mariano Rajoy racimola nelle urne catalane appena il 4,4% e 3 seggi, meno della Cup. L’altro partito storico, il Partito socialista guidato in Catalogna da Miguel Iceta, si ferma al 13,8 e 17 seggi. Quand’anche le forze costituzionaliste superassero le divergenze non arriverebbero alla maggioranza. Con Rajoy, l’altro sconfitto è per i commentatori spagnoli Oriol Junqueras, il leader di Esquerra ed ex-vicepresidente tuttora in carcere in seguito agli arresti che hanno colpito i membri dell’esecutivo deposto e spinto a Bruxelles Puigdemont il quale appare adesso avere tutta la leadership dell’indipendentismo nelle sue mani.

Il Capodoglio ucciso dalla plastica

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Capodoglio muore ammazzato da 30 chili di plastica nello stomaco. E’ l’immagine più cruda che i mari sono ormai colmi di spazzatura. Il giovane maschio di 10 metri è stato trovato su una spiaggia di Cabo de Palos, promontorio della regione mediterranea di Murcia in Spagna. Nel corso dell’autopsia, sono stati rinvenuti nel suo stomaco 30 chili di plastica, scambiati per meduse e altri pesci. La balena è morta per l’occlusione, secondo quanto hanno stabilito i biologi del Wildlife Recovery Center ‘El Valle’ che hanno esaminato la carcassa. Una morte atroce che forse potrebbe spiegare anche quelle di altri grandi cetacei spiaggiati: il capodoglio non poteva espellere la plastica che gli ha riempito lo stomaco bloccando alla fine le funzioni vitali.

E’ l’ultimo allarme sull’inquinamento da plastica nei mari. Non solo quello delle buste che hanno ucciso il capodoglio nel Mediterraneo, ma anche del particolato: la plastica è considerata la maggiore minaccia attuale alla biosfera a motivo dell’urgenza, delle proporzioni e dell’ubiquità in ogni mare e a qualsiasi profondità. Il precipitato della degradazione delle buste è stato trovato nello stomaco di crostacei perfino nelle fosse del Pacifico, a -10mila metri, da ricercatori della Newcastle University che hanno concluso non vi è ambiente marino immune dalla presenza di microplastica. Né ci sono coste nel mondo che non siano invase dalla plastica. Mentre i composti rigidi vengono rigettati sulle spiagge, la plastica fine si disintegra in pezzi sempre più piccoli fino alle dimensioni dei polimeri che la compongono. Studiando le immense isole di immondizia che i vortici oceanici hanno creato nel Pacifico (uno nell’emisfero nord grande come il Texas, un altro in quello meridionale ancora più grande), il ricercatore Charles Moore ha detto a Research Gate che “nuvole” di “pulviscolo plastico” si allargano non solo orizzontalmente, ma precipitano in colonne verticali minacciando l’ecosistema anche in profondità dove formano uno “smog” piuttosto che una chiazza. Moore stima vi siano milioni di particelle di plastica per km2 che non possono essere raccolti ammesso che si cominci a farlo con i rifiuti galleggianti non biodegradabili.

La plastica si fotodegrada disintegrandosi in particolato; la stessa fotodegradazione può produrre inquinamento da Pcb. Le particelle plastiche, “nuotando” in acqua come il plancton, vengono ingerite dai pesci ed entrano così nella catena alimentare. In alcuni campioni di acqua marina, il rapporto tra la quantità di plastica e zooplancton è apparso a volte di 6:1 per i polimeri. Nel 2016 il documentario A Plastic Ocean di Craig Leeson ha messo in luce la minaccia che rappresenta per la catena alimentare ed è stato in parte girato all’Università di Siena e nei mari della Sardegna dove si indagano le conseguenze delle microplastiche proprio in specie “sentinella” come le balene. Se in mezzo al Pacifico nessuno – salvo i circumnavigatori – vede gli accumuli di pattume ciò non significa che non rappresentino anch’essi un grave problema: sono culla di batteri, compresi vibrioni pericolosi per la salute umana e compromettono l’ecologia degli oceani. Quando le chiazze si formano lungo le coste sono vicine alle popolazioni umane e dunque un potenziale pericolo sanitario. Impedire che miliardi di buste di plastica finiscano in mare è ad oggi la prima soluzione ed è all’origine della decisione delle autorità britanniche ed europee di tassare le buste di plastica della spesa per ridurne il numero.

La lettera di Colombo rubata, falsificata e ritrovata

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Gli Stati Uniti hanno restituito alla Spagna la lettera con cui Cristoforo Colombo annunciava a Ferdinando e Isabella la scoperta dell’America. La Epistola de Insulis Nuper Inventis è la prima relazione sugli esiti del suo primo viaggio. Fu lo stesso ammiraglio genovese al servizio dei Re Cattolici a disporne nel 1493 la stampa di 16 copie e rappresenta il più antico documento a stampa della notizia del Nuovo Mondo. L’antefatto delle indagini su diverse copie trafugate delle lettere di Colombo è in Italia: nel 2012 su denuncia dell’allora direttore della Biblioteca Nazionale di Roma i Carabinieri del nucleo Tutela Patrimonio Culturale indagavano il furto di alcuni volumi antichi di notevole pregio e interesse storico-archivistico e sequestravano la lettera di Colombo ritenendola un falso. L’attività investigativa si svolgeva anche agli negli Stati Uniti e l’Homeland Security Investigation di Wilmington allertava della circolazione di falsi e della vendita illecita di copie della celebre lettera del 1493. Gli accertamenti del Racis (Raggruppamento Carabinieri Investigazioni Scientifiche) stabilivano che era falso non solo il documento di Roma ma anche la copia conservata presso la Biblioteca Riccardiana di Firenze, finché nel 2016 gli Stati Uniti la restituivano all’Italia.

Ma il filone d’inchiesta portò gli investigatori americani a verificare nel 2012 l’autenticità della lettera conservata presso la Biblioteca de Catalunya di Barcellona scoprendo che anche quella era un falso. Il furto sarebbe avvenuto nel 2005 e la lettera sarebbe stata venduta, riferisce La Vanguardia, negli Usa per 600mila euro. Secondo gli investigatori americani la lettera sarebbe poi passata nuovamente di mano nel 2013 per un milione di dollari. Il documento di proprietà della Spagna è stato restituito dal vicesegretario della Sicurezza Interna, Thomas Homan, all’ambasciatore spagnolo mentre quella romana sarà riconsegnata il 14 giugno dall’ambasciata americana nel corso di una cerimonia alla Santa Sede.

Resta il giallo di chi abbia sostituito le lettere originali con falsi né gli investigatori americani hanno fornito dettagli su come siano giunte negli Usa essendo tuttora in corso indagini. Tutte le stampe furono eseguite a Roma nel 1493 da Stephan Plannck, un prototipografo tedesco attivo a Roma fino al 1500, e riproducono il contenuto di diverse lettere del navigatore italiano che – assieme al suo Diario di bordo – costituiscono i primi documenti diretti di un europeo oltreatlantico sul suolo americano.

Mondiali 2018, ct della Spagna Lopetegui esonerato a due giorni dal debutto

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La Spagna non ha un commissario tecnico a due giorni dal primo match dei Mondiali in Russia contro il Portogallo. La Federazione iberica ha annunciato poco fa l’esonero dell’ex ct Jules Lopetegui, “colpevole” di aver accettato l’offerta del Real Madrid dieci giorni dopo aver firmato il rinnovo del contratto con la stessa federazione per continuare a guidare le furie rosse.

“Ringraziamo Lopetegui per quanto fatto ma siamo costretti a licenziarlo. Questo deve essere un messaggio chiaro per tutti i lavoratori della Federazione spagnola: ci devono essere modi di agire che devono essere soddisfatti. Non mi sento tradito, il problema è come sono state fatte le cose con la totale assenza di partecipazione della Federcalcio spagnola, che è qualcosa che non possiamo ignorare. Lopetegui è un professionista impeccabile, ma i modi sono importanti”.

Il Presidente federale Luis Rubiales in conferenza stampa annuncia il licenziamento di Lopetegui

Il Presidente federale Luis Rubiales in conferenza stampa annuncia il licenziamento di Lopetegui

Parole molto chiare quelle del Presidente federale Luis Rubiales (espresse in una conferenza stampa convocata proprio per divulgare il siluramento dell’allenatore), forse fin troppo per una scelta destinata a ripercuotersi sui giocatori, che in più occasioni hanno chiesto al numero uno della Federazione di lasciare Lopetegui al suo posto e rimandare ogni discorso al termine della rassegna iridata. Sulla questione, però, Rubiales è stato secco: “Ho parlato con i giocatori, faremo tutto il possibile insieme al nuovo staff per vincere la Coppa del Mondo”.

E mentre il conto alla rovescia per la gara contro Cristiano Ronaldo e soci volge al termine, per ora non ci sono certezze su chi siederà in panchina, bensì molte possibilità. I giornali iberici puntano su due nomi: Fernando Hierro, simbolo del Real Madrid e attuale direttore tecnico della Spagna, e Albert Celades, ex giocatore cresciuto nel Barcellona e affermatosi con il Real Madrid, ora al comando della nazionale Under 21. I due si trovano già in Russia al seguito della spedizione iberica, chissà però che alla fine non spunti fuori un nome a sorpresa. A patto però di fare in fretta.


Mondiali 2018, le 5 favorite per il titolo

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“Chi vince i Mondiali 2018?” è la classica domanda da un milione di dollari perché in Russia arrivano diverse nazionali con le potenzialità per alzare al cielo la Coppa. Qui parliamo delle cinque favorite, che sono poi sempre le solite, a maggior ragione dopo l’estromissione dell’Italia, che al di là dell’ultimo periodo poco felice è quasi sempre partita con i favori del pronostico e concrete possibilità di giocarsi fino alla fine le proprie chances. Se per noi se ne riparlerà tra quattro anni (speriamo), la campagna russa è una ghiotta opportunità per tornare in cima, confermarsi al top, oppure sorprendere tutti e ribaltare i pronostici. Cerchiamo di capire, quindi, quali nazionali possono ambire a vincere e soprattutto perché.

Perché il Brasile sarà campione del mondo
La rosa è la migliore di tutti per qualità, alternative in ogni reparto e affiatamento. E già questo basterebbe per mettere i verde-oro davanti a tutti, ma poi c’è pure il gioco espresso per arrivare in Russia e la voglia di rivalsa dopo la clamorosa figuraccia di quattro anni fa, con il 7-1 della Germania in semifinale che grida ancora vendetta e che resterà per sempre la pagina più umiliante dei brasiliani. Neymar e compagni si presentano al via avendo dominato il girone eliminatorio sudamericano: dodici successi e cinque pareggi su diciotto incontri, con identica striscia di risultati positivi dopo la sconfitta contro il Cile patita alla prima giornata. Le quarantuno reti mette a segno e i distacchi siderali inflitti alle rivali (Uruguay secondo a -10 punti, Argentina terza a -13 e Colombia quarta a -14) dimostrano come il girone di qualificazione sia stato l’avvio di un percorso che per gli uomini di Tite deve concludersi con la presenza allo stadio Luzhniki il prossimo 15 luglio.
Se l’appassionato medio può pensare che la forza del Brasile sia il reparto offensivo – che con il ritrovato Neymar insieme a Gabriel Jesus, Coutinho, William e Taison è stellare, completo e difficilmente eguagliabile – le cifre e le partite chiariscono come la grandezza della squadra sia nella propria metà campo. Alisson in porta (con Ederson pronto a subentrare in caso di bisogno), Danilo e Marcelo sulle fasce con Miranda e Thiago Silva (due 33enni che bilanciano bene mezzi tecnici e atletici con l’esperienza) sono una corazzata difficile da superare; non a caso nelle gare di qualificazione sono state undici le reti al passivo (su dodici match). E ad agevolare il compito dei difensori, consentendo a Marcelo di replicare le sfuriate sulla sinistra come con il Real Madrid, c’è il tris a centrocampo che miscela potenza, resistenza, forza e piedi buoni: Casemiro, Paulinho e Fernandinho, che del resto sono tre pedine cruciali per Real, Barcellona e Manchester City. Ah, poi ci sarebbe gente come Marquinhos, Fred, Firmino e lo juventino Douglas Costa a disposizione in caso le cose non si mettano nel verso giusto.

Alisson Becker, uno dei motivi per cui il Brasile può vincere il Mondiale

Alisson Becker, uno dei motivi per cui il Brasile può vincere il Mondiale

Perché la Germania sarà campione del mondo
Un rullo compressore. Questo è stata la Germania nel corso del girone eliminatorio chiuso come meglio non si potrebbe: dieci gare e trenta punti in cascina. Primo posto facile con una differenza reti di +37 (43 reti fatte e 6 subite) e una squadra con un preciso volto pronta a battagliare per confermarsi campioni del mondo. Sono tanti i numeri e i punti di vista cavalcabili per dimostrare la forza dei tedeschi; uno di questi è osservare chi è rimasto a casa. Gente come Leroy Sanè, titolare inamovibile del Manchester City, e Mario Gotze, uomo della Coppa nell’ultima edizione, sosterranno i compagni a distanza. Da valutare il rientro tra i pali di Neuer, che in stagione non ha mai giocato, da sfruttare la presenza a destra di Joshua Kimmich, uno che ha passo e piedi molto superiori rispetto ai colleghi di fascia, mentre il pezzo forte è tra centrocampo e trequarti con Kroos, Khedira, Goretzka, Reus, Ozil e Draxler a creare gioco, concludere a rete e innescare Timo Werner, che si è guadagnato il posto al centro dell’attacco a suon di gol con il Lipsia (21 in stagione, dopo le 22 dell’anno scorso firmate solo in Bundesliga). Detto che il materiale a disposizione è ottimo, resta qualche dubbio sulle potenzialità dei teutonici, non tanto per le ultime due pessime amichevoli (ko 2-1 con l’Austria e vittoria di misura con lo stesso punteggio contro l’Arabia Saudita), quanto per una nazionale da dodici anni sotto la gestione Joachim Low; un elemento che potrebbe in parte affievolire quella sete di vittoria che da sempre contraddistingue la Germania. Tabellone alla mano, girone e ottavi di finale sono favorevoli, dai quarti in poi – che potrebbero riservare Inghilterra o Belgio – si dovrebbe iniziare a fare sul serio.

Toni Kroos, il migliore dei tanti ottimi centrocampisti della Germania

Toni Kroos, il migliore dei tanti ottimi centrocampisti della Germania

Perché la Francia sarà campione del mondo
Talento, rivincita, gioventù, entusiasmo. Sono gli ingredienti con cui la Francia si approccia al Mondiale russo con l’obiettivo di arrivare almeno tra le prime quattro. E il cammino non è impossibile, specie all’inizio, poiché Danimarca, Perù e Australia non possono rappresentare un ostacolo insuperabile per i Blues, una nazionale che può permettersi il lusso di fare a meno di Benzema, Lacazette, Payet (infortunato), Rabiot, Kurzawa, Martial, Ben Yedder, Gameiro, Laporte, Kondogbia e Moussa Sissoko. Tale elenco aiuta a comprendere le potenzialità del gruppo di Deschamps, che nelle qualificazioni ha regolato la Svezia e costretto all’eliminazione l’Olanda. Giovani ma abituati a giocare a livello internazionale, i francesi non hanno apparenti punti deboli ma anzi una formazione tipo difficile da affrontare. Lloris in porta, Sidibé e Mendy sulle fasce con Umtiti e Varane al centro della difesa, centrocampo a tre con Kanté in mediana, Pogba e Tolisso (o Matuidi) a impostare il gioco e incunearsi negli spazi aperti dal tridente leggero composto da Griezmann, Mbappè (che con i suoi 19 anni è il giocatore più giovane al via della rassegna iridata) e Dembelé sui lati col compito di cambiare passo e dare strappi alla manovra transalpina. Fisicità e atletismo in dosi massicce che si fondono con doti tecniche da maestri del gioco per almeno due-tre interpreti consentono alla Francia di guardare con fiducia alla campagna di Russia, anche perché l’Europeo casalingo del 2016 perso ai supplementari per la rete del portoghese Eder grida ancora vendetta.

Kylian Mbappè, l'under 20 più forte del mondo è uno dei punti forti della Francia

Kylian Mbappè, l’under 20 più forte del mondo è uno dei punti forti della Francia

Perché la Spagna sarà campione del mondo (nonostante tutto)
Il mondo ribaltato all’improvviso, con il ct cacciato a due giorni dall’esordio per aver tradito la fiducia della Federazione. Una mossa azzardata, causata dal voltafaccia di Lopetegui che, dieci giorno dopo aver rinnovato il contratto per continuare a guidare la Spagna, non ha saputo resistere alla corte del Real Madrid firmando l’accordo con i Blancos del dopo Zidane. E pensare che l’obiettivo degli iberici era risalire la china dopo i flop seguiti alla vittoria del Mondiale 2010. Nel 2014 la Spagna è entrata nella storia come prima nazionale campione in carica eliminata dopo solo due partite, mentre negli Europei del 2016 non è andata oltre gli ottavi di finale, quando l’Italia di Antonio Conte (con Pellè ed Eder coppia d’attacco) ha inflitto un pesante 2-0 a Sergio Ramos e compagni. Ora la storia è diversa ma è sul campo che bisogna dimostrare di aver superato il momento nero. L’avvicinamento al torneo è stato impeccabile, con 28 punti nel girone eliminatorio e il pieno mancato solo per il pareggio con l’Italia nella gara in trasferta, con appena tre reti incassate in dieci partite, anche se va ricordato che – Azzurri a parte – Albania, Israele, Macedonia e Liechtenstein non sono propriamente nazionali di grido. Lopetegui ha rinnovato il gruppo inserendo giocatori extra Barca-Real in un contesto basato sempre sul possesso di palla. Con Hierro cambia poco perché perni del gioco saranno sempre David Silva e Isco, cui spetterà inventare giocate per Diego Costa, mentre a Iniesta, Busquets e Thiago Alcantara (o Koke) toccherà gestire i tempi a centrocampo. Dietro si passa sempre per il duo Ramos-Piquè, capace di assolvere i compiti difensivi e assicurare reti pesanti in una manifestazione breve come il Mondiale. Che poi dalla panchina si possa pescare Asensio, Saul, Lucas Vasquez, Rodrgio e Iago Aspas è un fattore che suffraga le possibilità degli iberici di compiere un percorso importante in Russia. Ma tutto questo passa in secondo piano perché bisognerà vedere come il gruppo reagire al cambio in panchina.

Sergio Ramos e Gerard Piqué difensori talvolta più prolifici degli attaccanti della Roja

Sergio Ramos e Gerard Piqué difensori talvolta più prolifici degli attaccanti della Roja

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Perché l’Argentina sarà campione del mondo
La risposta d’istinto è banale, inevitabile e si chiama Messi (nonostante i rigori). Analizzando meglio la questione, si può sintetizzare che l’Argentina è una delle squadre più imprevedibili in assoluto, anche se il cammino per arrivare in Russia e pure le tappe di avvicinamento non sono state quelle ideali per pensare di arrivare a giocarsi il titolo. L’ultimo polverone, come consueto extra-campo, ha messo nel mirino il ct Jorge Sampaoli, reo secondo alcune testate locali di aver molestato una cuoca del centro federale di Buenos Aires, con la smentita del presidente federale e i tanti articoli a corredo tra innocentisti e colpevolisti. Sul campo, poi, le cose non vanno molto meglio, perché dopo lo spavento nel girone eliminatorio (a novanta minuti dal termine l’Argentina era esclusa dai Mondiali, prima di finire al terzo posto grazie al 3-1 in casa dell’Ecuador) il conto alla rovescia per il debutto contro l’Islanda è ricordato in particolar modo per il 6-1 subito lo scorso marzo dalla Spagna. Il punto di forza dell’Albiceleste resta sempre l’attacco, che oltre al genio di Messi conta su Aguero, e Di Maria, con Dybala e Higuain pronti a subentrare. In mezzo non c’è più la tecnica individuale del passato ma l’ascesa di Giovanni Lo Celso promette bene, mentre dietro Otamendi, Rojo e Fazio devono proteggere la porta di Caballero in un reparto non proprio impeccabile. Un’insidia non da poco perché servirà la miglior faccia di un’Argentina potenzialmente grande, finora solo sulla carta.

Sergio Aguero, dalle sue reti passa il Mondiale dell'Argentina

Sergio Aguero, dalle sue reti passa il Mondiale dell’Argentina

La Sagrada Familia pagherà 36 milioni di condono edilizio alla città di Barcellona

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La Sagrada Familia di Barcellona – la più famosa basilica della città e uno dei monumenti più famosi della Spagna – pagherà 36 milioni al capoluogo della Catalogna come condono per non aver mai avuto gli appropriati permessi edilizi nel corso del lunghissimo iter costruttivo durato oltre 130 anni nei quali si sono succedute le più diverse fasi storiche compresa la guerra civile. L’accordo è stato ufficializzato giovedì dalla sindaca di Barcellona, Ada Colau, dopo una lunga trattativa. Il pagamento a sanatoria della somma di 36 milioni di euro sarà dilazionato in 10 anni, soldi che andranno a finanziare le infrastrutture del quartiere attorno alla Sagrada Familia, meta turistica di Barcellona, e i servizi per gli stessi turisti. I lavori al Temple Expiatori de la Sagrada Familia sono in via di ultimazione e si prevede la definitiva chiusura del cantiere nel 2026, a 144 anni dalla sua apertura. L’opera sarà interessata in particolare dalla sistemazione delle decorazioni neogotiche esterne. I lavori cominciarono nel 1882 su progetto del famoso architetto Antoni Gaudí che volle impreziosire la sua città con un colossale edificio religioso alto 172 metri, il più elevato di Barcellona. Gaudí vi dedicò 40 anni della sua vita. La Sagrada Familia è stata consacrata al culto nel 2010 da Papa Benedetto XVI nonostante i lavori fossero ancora in corso. Oggi è una delle mete immancabili e più fotografate dai turisti a Barcellona.